martedì 30 novembre 2010

Maratona di Firenze, il racconto. Poteva piovere.

La sveglia mi guarda con malcelata ostilità. Cazzo rompi i coglioni anche a me, se tanto sai che prima di una gara così non dormirai? beh, non si sa mai. Dormo poco ma rimugino come un grande, qualcuno dovrà pur avvertirmi che è ora di far sul serio. Le sei. Rivista la strategia mille volte, immaginati i punti chiave, soprattutto esclusa dal ceppicone l'ossessione del meteo, NON ci penserò finché non esco di casa. Due profondi respiri e mi alzo.
Le sei e due minuti. Chiudo la finestra, i vetri e la faccia sferzati dal vento e dalla pioggia. Shit.
Sul divano in bella posa stanno allineati gli "strumenti" del mestiere. Li indosso come una diciottenne che va al ballo delle debuttanti, sistemo il pettorale con la cura di un orologiaio, m'imbottisco di strati per affrontare il freddo prima della partenza. L'appuntamento è alle 7.45 co' i'Pinza alla Biblioteca Nazionale, poi con Karim alle 8 su al monumento a Michelangelo.
A mo' di omìno Misclèn rotolo verso lo scooter. Ritorno su. Ho dimenticato berretto, guantini, integratori, preservativi, quant'altro. Già che ci sono, piscio. Le sette e venti. Le sette e trentacinque, scendo di nuovo (mi ci vòle un po'... l'età avanza) e finalmente parto. Vicino al punto di ritrovo mi costringono a un giro pesca incredibile perchè non vogliono neanche gli scooter in zona. Alla fine m'invento un posto in Piazza Beccaria.
Alle otto e dieci la Biblioteca Nazionale è giustamente deserta, e io non mi sono portato il telefono. Rapidamente passo al deposito borse, e mi infilo nel serpentone di podisti che sibila verso Piazzale Michelangelo, uno spaccato di umanità più che mai variegato. C'è quello già in canottiera e shorts sotto il diluvio un'ora prima della partenza. Chi si riscalda con scatti in salita (!) su per le Rampe del Poggi. Ci sono i gruppi chiassosi di inglesi, tedeschi e scandinavi, con omoni che a vederli paiono gonfi di weiss e kilkenny, e queste quarantenni indistruttibili... qualcuna ti supera sempre con irrisoria facilità proprio nei momenti più duri. 
Malebolge è una parata di giapponesi a confronto del caos del Piazzale. Mi imbatto per caso in Karim, che mi aiuta nell'ultimo trucco imparato da David Copperfield, togliermi una vecchia calzamaglia troppo stretta in piedi sotto il diluvio. Tanto per presentarsi bene al podismo romano, eh. Grazie infinite, comunque! 
Le otto e quarantacinque. Mi infilo nella gabbia delle tre ore, piena di gente che dovrebbe stare in fondo, gli assistenti non ti guardano nemmeno in faccia. Mica come a Roma, che schierano i mastini tenuti a digiuno. 
Ti sgamano subito che sei un "locale". 
- L'è de Firensssse??
- Eh, beh.
- Ma Firense de hura o de huta?! (obese risate)
- (fastidio) Dell'ovest.
- Senta, ma en partensa se ssende? (non sforzarti con l'italiano, ti viene male)
- No, si sale andando a ritroso all'indietro.
Fermi come parlamentari del pd, si aspetta che la rai sia in comodo. Che poi come sempre la maggior parte della trasmissione saranno inquadrature a cazzo della città. Finalmente ci si muove. Ci portano al passo 400 metri più sotto, in Viale Michelangelo. L'odore di canfora si fa insostenibile, inizia a volare di tutto, mantelle, maglie di lana di roccia, tute integrali da falciatori d'erba, i mòccoli per il freddo già volavano da un po'. Soavi rumori percorrono il gruppo dei 10000, l'elicottero, le offese a Bragagna (l'orrifico telecronista rai), i GPS che si accendono.
Ore nove e ventuno, lo sparo. 
Entro mezzogiorno e venti, l'arrivo voluto per i 42,195 km.
Passo la linea di partenza dopo 30 secondi. Non male. Primi due chilometri di discesa tranquilli, nessun pestone, pochissimi mòccoli, un freddo becco. Mi guardo intorno, è proprio una bella banda. Qualcuno zigzaga, qualcuno passa sui marciapiedi per superare tutti a velocità doppia, neanche fosse una dieci chilometri. Qualcuno è ancora vestito a festa, camicioni a quadri, felpe, ho visto anche uno con un poncho fino alle caviglie. Piove, non smetterà un secondo fino a sera, così non lo dico più.
Ponte San Niccolò, dopo due chilometri. Il freddo comincia a passare. Cento metri avanti a me vedo i pace maker delle tre ore coi loro palloncini gialli. Li punto e mi impongo di stare tranquillo, che è un po' come dire a Feltri di non distorcere una notizia. Li riprendo al settimo chilometro, dopo la fine dei Viali. Alle Cascine mi sento proprio bene, così al nono aumento un pochino, c'era troppo caos intorno ai palloncini, anche un paio di cadute. Undicesimo, corro al fianco di una tipa norvegese.
- Easy? - mi fa.
- Isi, isi - dico, e a quel punto faccio lo splendido e le dico di fare attenzione che ai lati della strada è pieno di buche e conviene correre al centro. Lei si sposta, e prontamente infila in una pozza fino ai malleoli. Mi guarda come Moccia guarda un congiuntivo, così tiro dritto. A parte questo le Cascine vanno a meraviglia, ne esco al quindicesimo in media perfetta, 4.14 al chilometro. Si ripassa "diladdàrno", lungarni, porta romana, palazzo Pitti, di nuovo lungarni, tutto bene. Si risale su Ponte San Niccolò e siamo a metà gara, 1 ora 29 e 13, media 4.13, perfetto, inizia un po' di pesantezza alle gambe ma vorrei vedere.
Dopo il ventitreesimo, in via Aretina estraggo la prima stronzata dal cilindro. Mi ero portato un Enervitene da 60 ml che nei lunghi avevo sempre preso a metà percorso. Al momento programmato faccio per estrarlo dal taschino posteriore che avevo astutamente CHIUSO ERMETICAMENTE con la zip. Ovviamente le mani hanno la sensibilità di due zoccoli e la duttilità di due chele. Rallento, mi tolgo i guanti, nisba. Mi tocca fermarmi. Fermarmi! Riparto mentre i palloncini mi affiancano. Mi accodo e rimango lì nel gruppo, anche perché si corre per qualche chilometro su strade strette. 
Ventisettesimo, si entra nel Campo di Marte. E qui si svuota il cilindro. In fondo a Viale Malta un lago d'acqua, anche se ci entri dentro che ti cambia.
Eh no, istintivamente e bruscamente lo scanso, e il risultato è un bel crampo al polpaccio destro. Mi fermo e in pochi secondi è a posto, ma mi rimane una brutta sensazione...
I palloncini si allontanano, provo subito a spingere per riaccodarmi, ma un nuovo colpettino al polpaccio mi blocca. Non mi era mai capitato un crampo in corsa, e non so cosa fare, quanto posso spingere senza rischiare di dovermi fermare o di farmi male. Mi accorgo che più o meno 4.20 al chilometro è il massimo che posso fare, mentre vedo i palloncini che guadagnano poco ma inesorabilmente, loro son lì per andare regolari a 4.15. 
Al trentaduesimo in cima al cavalcavia dell'Affrico vedo bene la situazione, ormai mi hanno preso più di cento metri, questo è il momento peggiore, capisco che non li raggiungerò più anche se so che avrei tutte le energie per farlo. E allora son lacrime di frustrazione e di impotenza, un umor nero che dura un paio di chilometri. Quando entro in centro penso quasi di ritirarmi, e di riprovarci tre settimane dopo a Pisa. Il deposito borse è a poche centinaia di metri. Ma dura un attimo. Non mi posso ritirare così, qui. Verrà comunque un buon tempo, molto migliore del mio personale.
Inizio così i miei otto chilometri di itinerario speciale nelle vie del centro, di una città che troppo diamo per scontata perché la vediamo tutti i giorni e che è più bella e colorata del solito, anche sotto la pioggia e battuta da un vento gelido. Cerco di mantenere una buona andatura, e non salgo mai sopra ai 5 minuti a chilometro, anche se i piedi sono due ferri da stiro tenuti in ghiacciaia. Trovo occasionali compagni di viaggio, per chilometri o per pochi metri, in diversi mi superano lanciati, tanti vittime di una crisi li supero io.
Mi guardo queste piazze, queste strade, e quando le ritrovo così? Piazza Santissima Annunziata, le Belle Arti, la Galleria. Piazza del Duomo. Poi giù a porta al Prato, e su altri lungarni. Ultimi quattro chilometri, in tanti cominciano a incitarci, dài che è finita. E aspe', manca ancora il meglio. E appena pensato questo, salendo su ponte Santa Trinita un altro crampetto al polpaccio. Sinistro. Rallento e passa, e allora via verso Ponte Vecchio, e poi sui sampietrini più sconnessi che si può verso piazza della Signoria.
Di nuovo al Duomo, dove trovo anche la forza di un incitamento a chi passa in direzione opposta, con quasi cinque chilometri in più da fare. E' il quarantesimo. Il museo del Bargello, e poi la svolta in via Ghibellina. Un posto buono per vedersi scorrere tutta la vita davanti, visto che è più di un chilometro e devi pensare a qualcosa sennò dài di fòri. Ma finisce anche lei, giro a destra trovandomi Piazzale Michelangelo di fronte e mi viene lo sciocco e stereotipato pensiero di come sarebbe bello poter tornare indietro e riprovare... lo accantono con una smorfia e mi concentro sugli ultimi passi, verso la Biblioteca Nazionale non più deserta ma coi gradini pieni di gente che applaude... e finalmente sono in Piazza Santa Croce, uno sguardo alla Basilica e poi vedo l'arrivo, vedo i secondi scorrere, un ultimo sforzo mi mantiene sotto le 3 ore e 5 minuti ed è l'ultimo atto di quella che oggi riesco a considerare un'impresa, e una splendida esperienza.
3 ore, 4 minuti, 58 secondi. Il personale è stracciato per oltre sei minuti.
E mi sa che il 20 marzo ci si riprova a Roma ;)
Sorvolo sul rientro all'addiaccio del dopo gara. Per certe cose, ci vorrebbe un briciolo (appena appena, non esageriamo) dell'inchiostro di Rigoni Stern o di Bedeschi.

lunedì 29 novembre 2010

Addio maestro



"Non c'è Libertà senza Uguaglianza, Giustizia, Diritto al Lavoro"

domenica 28 novembre 2010

Com'era quella del profeta in patria?

Ecco, appunto.
Come si vede dal titolo e dalla banalità dell'associazione con la foto, la sentenza (vedi post precedente) non è stata a me favorevole.
Ma c'è modo e modo.
Poche cose, poi casomai domani o nei prossimi giorni seguirà racconto.
Intanto - grunt - i tempi.


Nonostante un meteo catastrofico oggi era veramente giornata. Fino alla mezza mi sembrava di volare. Poi, a parte un problema al ventiquattresimo su cui sorvolo perchè mi vergogno a pensarci, al ventottesimo  per scansare un cazzo di acquitrino (meno male c'era il Sindaco a correre, così si sarà reso conto cosa diventa Firenze quando piove du' orette) un movimento brusco mi causa un CRAMPO. Un crampo. Mai successo prima correndo.
Che odiosa sensazione di impotenza. Un'esperienza frustrante, davvero. I pacer delle tre ore mi superano, mi distanziano un pochino ma son lì, ma ogni volta che aumento un po' per raggiungerli il polpaccio destro mi richiama all'ordine.
Mi tocca mollare.
Concludo riuscendo a non sforare mai i 5'/km e sotto le 3 ore e 5 minuti, comunque il personale per oltre 6 minuti, e sicuramente domani riuscirò a essere felice per questo.
Per il momento, mi vo un minutino a impiccare. Torno subito (forse).
Il pezzo però ce lo metto lo stesso.


sabato 27 novembre 2010

Il Processo

No, non c'entrano niente nani, lodi, illegittimi impedimenti.
Il processo di cui trattiamo non è la delirante e artificiosa costruzione di un demiurgo pazzo che violenta la tranquilla realtà degli ignari cittadini di una repubblica - dicono - del mondo occidentale.
Il processo sta avendo luogo veramente, e domani arriverà a sentenza.
Non c'è appello, né prescrizione. La ex-Cirielli non è applicabile. La Cirami non è usufruibile, il sospetto non è legittimo. Non c'è sospetto.
Nella primavera scorsa, l'iscrizione nel registro degli indagati. Oh, volontaria. Trattasi di un processo molto particolare. Il GIP indaga, il GUP trova tutto conforme e si ha così il rinvio a giudizio, di cui si allega copia autenticata.
... e ora ti càa l'orso, c'è scritto tra le righe.
Si apre così il dibattimento, in 3 mesi e mezzo circa di sedute. Eccone un'approssimazione, la giustizia non ha neanche i soldi per pagare i cancellieri quindi la precisione se ne va. Ma tutto fila più o meno liscio.
Dimenticavo: è un processo particolare. Le richieste le formula la difesa. E la difesa richiede: 2 ore 59 minuti 59 secondi, o meno. Perchè la difesa sa che l'imputato può arrivare a tanto.
Oggi, ritiro numero per l'emissione della sentenza per tutti gli imputati. Nella foto, il coimputato Karim da Roma.


Ridete, ridete...
Ora, si esaminino le prove a carico. L'accusa (il PM, via) mette a verbale:
- un PERCORSO variato in alcuni aspetti fondamentali, e qui descritto.
- un METEO che si annuncia pessimo.
La difesa invece, oltre a quanto già a verbale come risultati delle sedute di dibattimento, schiera a difesa (appunto) dell'imputato:
- Mizuno Wave precision 11
- Maglia Mizuno Breath Thermo se dovesse piovere già alla partenza o la temperatura fosse sullo zero... sennò maglia tecnica normale, manica corta. Sopra, canottiera della società. 
- Shorts Asics
- Calzini modello Darth Vader
- Garmin Forerunner 405
- e soprattutto una gran voglia di correre.
Via, eccoci. E' un processo strano, lo abbiamo detto. Oltre alle richieste, anche l'ònere della prova compete alla difesa.
Domattina all'alba, l'accusa sarà già schierata.
Ore 8: iniziano a entrare gli imputati nelle gabbie.
Ore 9: entra la Corte.
Come dice?
La difesa?
Mi difendo da solo, signor Presidente.


venerdì 26 novembre 2010

Nuovo percorso Maratona di Firenze (OTTAVA E ULTIMA PARTE)

Prima parte
Settima parte

Siamo arrivati alla stretta finale, i chilometri più duri e più belli. L'anno scorso li si affrontava uscendo dal Parco delle Cascine e si accoglieva Via Montebello, in verità abbastanza anonima rispetto a quello che verrà, come fosse la concretizzazione di Shangri-la. Quest'anno siamo reduci da un'ennesima inversione a U in piazzale di Porta al Prato.
Qui esco un attimo dal tracciato: non posso non mettere uno spezzone dell'episodio fiorentino di Paisà di Roberto Rossellini, ambientato in Via Solferino, praticamente dietro l'angolo.





 A metà Via Montebello si svolta a destra nella breve Via Curtatone, in corrispondenza della facoltà di Economia dell'Università; da qui una svolta a sinistra ci riporta sui LUNGARNI. Questo tratto è addirittura dotato di pista ciclabile, purtroppo a Firenze ancora una relativa rarità.
Lungarno Vespucci e l'omonimo Ponte che unisce il Lungarno a Lungarno Soderini sono ovviamente dedicati a uno degli abitanti più illustri della zona di Ognissanti, Amerigo Vespucci. Il Ponte è piuttosto recente, costruito nel dopoguerra per il cinquecentenario della nascita del navigatore.
Qui a fianco, la vista che si gode dallo sbocco di Via Curtatone sul Lungarno, con in evidenza la chiesa del Cestello.

Lungarno Corsini

Si continua il Lungarno fino al successivo Ponte Nuovo, il già visto Ponte alla Carraia, incontrando di nuovo Piazza Ognissanti e, di fronte al ponte, Piazza Goldoni col flusso contrario del gruppo con runners che stavolta vanno più piano di noi (o perlomeno, così è stato fino a ora, ma manca ancora molto visto che finisce qui il trentottesimo chilometro). A Ponte Nuovo segue Lungarno Corsini, una delle cosiddette passeggiate eleganti della città, con la carreggiata caratteristicamente a schiena d'asino, quindi da affrontare al centro. Il concetto di passeggiata mi sta lì dove starebbe un condom ma i palazzi di questa via son proprio belli, a cominciare da Palazzo Corsini, per proseguire con i due palazzi della famiglia storica Gianfigliazzi, cui sono legati pezzi importanti della letteratura italiana. Nel primo che si incontra, al numero 4, abitò Alessandro Manzoni quando venne a risciacquare i panni in Arno, mentre nel secondo, al numero 2, l'autore dell'attualissimo Della Tirannide, Vittorio Alfieri visse parte della sua travagliata storia d'amore con Luisa d'Albany.
Si arriva così al ponte non più famoso ma più bello di Firenze, nonostante la fama di Ponte Vecchio e a dispetto del nome: Ponte Santa Trinita.
Il ponte da Lungarno Corsini


Terzo ponte di Firenze in ordine di costruzione (1252), è stato più volte distrutto, prima dalle alluvioni e poi, il 4 agosto 1944, dai nazisti in ritirata; è stato ricostruito nel 1958. Nella foto a destra, l'imbocco da Lungarno Corsini, col suo fondo sconnesso. Sullo sfondo, Ponte Vecchio. Alla nostra sinistra sta Piazza Santa Trinita col Palazzo Spini Feroni e l'imbocco di Via Tornabuoni. Sull'angolo, la statua della Primavera, di Pietro Francavilla. Ai quattro angoli stanno infatti statue rappresentanti le quattro stagioni; completano il quartetto l'Estate, di Giovanni Caccini, posta a fianco della Primavera e Autunno (sempre del Caccini) e Inverno (di Taddeo Landini) poste sull'altro lato dell'Arno. Dopo la distruzione del '44, le statue vennero ripescate in Arno, intatte tranne la testa della Primavera, che venne ritovata nel 1961.
                                                             
Saliti sul ponte, voltandosi a sinistra l'immagine che ci si propone è quella di Ponte Vecchio, qui sopra. Nella foto a destra, le "sporgenze" triangolari (esisterà sicuramente un termine tecnico, ma boh) dei piloni, presenti anche in quelli di Ponte alla Carraia. C'è una ragazza a sedere sopra, vedete? Ecco, alzi la mano chi a Firenze non c'è mai salito, magari briaco la sera (io le alzo tutt'e due).
Passato l'Arno, eccoci in Piazza de' Frescobaldi. Sull'angolo di sinistra, il "palazzo della missione", già palazzo Frescobaldi, che oggi ospita il Liceo Classico Machiavelli. Qui un bel documento (basta notare gli autori) di una bella azione antifascista legata a questo palazzo.
Dalla piazzetta si svolta secco a sinistra per entrare nel tratto più angusto dell'intero tracciato, Borgo San Jacopo. Nella foto il punto di accesso della via, con sull'angolo la Fontana dello Sprone del Buontalenti.
Torre dei Ramaglianti, una
delle 6 poste in Borgo S. Jacopo

Caratteristica del Borgo sono le numerose Torri medievali che si alternano agli edifici moderni, frutto della ricostruzione del dopoguerra.


   
Il "Bacchino" del Giambologna
Torre dei Rossi-Cerchi
Non si può imboccare Ponte Vecchio senza prima parlare di un posto che si trova pochi metri dietro Borgo San Jacopo. Si tratta di Piazza della Passera, luogo di fervente attività culturale. Nota anche come Canto ai Leoni, nel 2005 ha visto riconosciuto ufficialmente il suo nomignolo (la cui origine deriva probabilmente dall'antica presenza qui di un bordello). E chi non sa cosa sia la passera a Firenze, consideri la forma triangolare della piazza.


Lasciando Borgo San Jacopo, diamo un ultimo sguardo alla nostra destra dove troviamo l'ultima torre, quella dei Rossi-Cerchi, che ospita in una nicchia alla sua base il Bacco del Giambologna.
E saliamoci finalmente, su Ponte Vecchio. Diciamo subito che siamo nel punto dove l'Arno è più stretto, e quindi sul ponte più corto della città. E' l'unico ponte di epoca romana, risalente addirittura al I secolo. Danneggiato da molte alluvioni, devastato e ricostruito dopo quella del 1333, è l'unico scampato alla furia dei nazisti in ritirata. Qui e qui qualche notiziola sui cambiamenti del ponte attraverso la storia di Firenze, anche se avere la storia del Varchi a disposizione sarebbe meglio.
Vediamolo piuttosto dal punto di vista soggettivo dei corridori. La curvatura non è indifferente, il fondo è pessimo. Due ali di botteghe di orafi ci affiancano. Non suona bene, eh? ma non disperiamo. Al centro, sui due lati due piccole terrazze, su quella a ovest un busto di Benvenuto Cellini.


Sul ponte anticamente stava una statua dedicata a Marte, suo primo patrono, la quale fu prima gettata in Arno quando il patrono fu mutato in Giovanni battista, e poi ripescata e rimessa al suo posto quando Firenze fu devastata da Attila, suscitando le ire della chiesa.
Ce lo testimonia Dante in Inferno, canto XIII, vv. 139-151, dialogo con un fiorentino suicida.

   Ed elli a noi: «O anime che giunte 
siete a veder lo strazio disonesto 
c'ha le mie fronde sì da me disgiunte,
raccoglietele al piè del tristo cesto. 
I' fui de la città che nel Batista 
mutò 'l primo padrone; ond' ei per questo
sempre con l'arte sua la farà trista; 
e se non fosse che 'n sul passo d'Arno 
rimane ancor di lui alcuna vista,
que' cittadin che poi la rifondarno 
sovra 'l cener che d'Attila rimase, 
avrebber fatto lavorare indarno.
Io fei gibetto a me de le mie case».

E' sul lato est, a sovrastare le botteghe, che si ammira una delle più belle creazioni di Firenze, il Corridoio Vasariano che collega Palazzo Vecchio a Palazzo Pitti attraverso gli Uffizi, Lungarno degli Archibusieri, Ponte Vecchio e con vari escamotage attraversa tutta l'attuale via dei Guicciardini. 

Quando si esce dal ponte è ormai concluso il trentanovesimo chilometro. Voltandosi a destra godiamo di un meraviglioso scorcio sul Lungarno degli Archibusieri, col Corridoio Vasariano che lo attraversa per portarsi dagli Uffizi verso Ponte Vecchio.



Da qui in poi la gente aiuta davvero, l'anno scorso era veramente tanta. Come già ripetuto, quello che non aiuta è il fondo stradale. Si entra in Via Por Santa Maria, antichissima ma devastata dalle mine tedesche nel '44 e quasi interamente ricostruita; sono superstiti solo 3 delle molte torri che contraddistinguevano la via. Giunti di fronte alla Loggia del Mercato Nuovo col caratteristico Porcellino si svolta a destra in Via Vacchereccia (nel punto dove si trovava l'antica Porta Santa Maria) e in poche decine di metri siamo in Piazza della Signoria, da sempre il cuore politico di Firenze.
Ok, anche qui ce ne sarebbe da dire per ore. Diciamo che della piazza vedremo ben poco, perché si svolta subito a sinistra costeggiandone il lato ovest. Ma il passaggio da qui è uno dei momenti più emozionanti della corsa. O almeno, per me l'anno scorso è stato così, ma forse si trattava della consapevolezza che stavo per chiudere la mia prima maratona.
Palazzo Vecchio da Via Vacchereccia
In ogni caso, imboccando Via Vacchereccia si è subito colpiti dalla facciata di Palazzo Vecchio (e qui, la storia e la descrizione uno se la legge o ancor meglio se può se lo visita invece di far le vasche in Via Calzaiuoli), che nella sua storia di sette secoli ha ospitato i Medici (fino al 1565, poi Cosimo I se ne andò a Palazzo Pitti), il parlamento italiano,  e oggi il sindaco. Aggiungo solo che il Museo di Palazzo Vecchio fa parte del complesso dei Musei Civici Fiorentini, una di quelle cose che, come gli Uffizi o la Galleria e millanta altre, chi vive a Firenze ce l'ha in casa e un ci va mai, malidetti noi.
Il Corridoio esce da Palazzo Vecchio
Entrando in piazza, e guardando bene (e rapidamente!) alla destra di Palazzo Vecchio, si può vedere il Corridoio Vasariano che ne esce, passando sopra a Via della Ninna, per entrare negli Uffizi: perpendicolare a Via della Ninna e al Palazzo è infatti il Piazzale degli Uffizi.


Nel lato sud della piazza, a cui diamo immediatamente le spalle, sta la Loggia della Signoria o Loggia dei Lanzi,nata a fine trecento per ospitare le cerimonie ufficiali della Repubblica fiorentina; col nascere del Granducato i Medici lo trasformarono in spazio espositivo commissionando alcune sculture, altre ne furono aggiunte in seguito. Fra queste, due sono i capolavori assoluti: il Perseo con testa di Medusa di Benvenuto Cellini e il Ratto delle Sabine del Giambologna.                   
Il Ratto delle Sabine
Il Perseo


















Completano la descrizione essenziale della piazza la statue disposte sull'Arengario o ringhiera, il piano rialzato antistante l'ingresso principale di Palazzo Vecchio: Ercole e Caco di Baccio Bandinelli, la copia del David di Michelangelo il cui originale  è nella Galleria dell'Accademia, le copie del Marzocco e del Giuditta e Oloferne di Donatello, i cui originali sono al museo del Bargello, la Fontana del Nettuno di Bartolomeo Ammannati (chiamata in città ironicamente i' Biancone).
Verso il centro della piazza si trova invece la Statua equestre di Cosimo I del Giambologna.


Sotto i Medici la piazza era anche sede di tutte le feste e le celebrazioni, e anche purtroppo delle pubbliche esecuzioni, ad esempio quella di Girolamo Savonarola, il 23 maggio 1498.
Negli ultimi anni ha invece assistito a "riunioni" di ben altro spessore, ad esempio questa, impagabile.





Abbandoniamo ora finalmente la piazza, non prima di aver rivolto una sonante pernacchia a un'altro spacciatore di caffèi a diecieuri per i gonzi, Rivoire che sta nella direzione di Via dei Calzaiuoli che imbocchiamo cercando vanamente di evitare i crateri che la caratterizzano. La caratteristica della strada è l'intenso traffico di pedoni a qualsiasi ora. C'è pieno anche di negozi, è con Via Tornabuoni il simbolo del declino della "Firenze bottegaia". Il 28 novembre, i pedoni passeranno di corsa a partire dalle 11 e fin dopo le 14. Due gli edifici più significativi: la particolarissima chiesa di Orsanmichele, con i caratteristici 14 tabernacoli posti al livello stradale con statue di santi di Donatello e Lorenzo Ghiberti tra gli altri; e la Loggia del Bigallo nell'angolo con Piazza San Giovanni.
    Si esce da Via Calzaiuoli e si entra in Piazza del Duomo. Ecco la vista che ci si para di fronte, col Campanile di Giotto e la cattedrale di Santa Maria del Fiore:


... e magari trovare un cielo così.
Il sito dove si trova la piazza era inizialmente al di fuori dalla cerchia di mura (era cioè fuori dal castrum, come s'è visto); la seconda cerchia lo inglobò per la nascita del Battistero e il conseguente spostamento dell'attività religiosa al di fuori del castrum. Il Progetto del Duomo, su incarico della Signoria, è di Arnolfo di Cambio; vi lavorarono poi Giotto e Filippo Brunelleschi, che realizzò la più grande cupola in muratura del mondo.
Nel giorno di Pasqua in piazza del Duomo si tiene una manifestazione folkloristica molto nota, lo scoppio del carro (i' Brindellone, com'è chiamato in città). Qui la storia e il significato, e qui un video dell'edizione dello scorso anno.
Si percorre il lato sud della Piazza. Con questa vista (spero di rendermene conto, non come a Roma quest'anno che ho attraversato piazza di Spagna senza accorgermene! si era al trentottesimo...):




Oltrepassato il Duomo si svolta a destra, mentre terminiamo il quarantesimo chilometro, in Via del Proconsolo. Inizia qui la lunga volata verso l'arrivo. Migliora finalmente il fondo stradale e questo aiuterà non poco. Soprattutto finisce il momento più difficile, anche chi è in crisi, vedendo il "4" nel cartello che indica il chilometraggio, ritrova energie insperate (o meglio, raschia il barile...)
Palazzo del bargello
Il nome "Proconsolo" deriva da quello del capo dell'Arte dei giudici e dei notai,che risiedeva nel palazzo attualmente al numero 6. Nella via troviamo almeno 3 gioielli autentici: al numero 10, il bellissimo Palazzo Pazzi, appartenuto alla famiglia acerrima nemica dei Medici; al numero 12, il Palazzo Nonfinito, sede della sezione Antropologia ed Etnologia del Museo di Storia Naturale dell'Università di Firenze; e soprattutto al numero 4 il Museo del Bargello.
Alcune delle meraviglie conservate al Bargello: opere di Michelangelo (il Bacco, il David-Apollo, il Ritratto di Bruto, il Tondo Pitti), di Donatello (i due David, marmoreo e bronzeo, il Marzocco, il San Giorgio), e poi del Cellini, del Giambologna, dei Della Robbia per citarne solo alcuni.
Si intravede già il tribunale di Piazza San Firenze, ed è come se un giudizio stesse per essere emesso. Lo si evita però, svoltando a sinistra in Via Ghibellina. Questo lungo rettilineo di circa un chilometro offre un'ultima, dura prova a tutti, se ne vede la fine ma questa sembra non arrivare mai. Ci sono un sacco di cose interessanti in questa via e dintorni, ma sfido chiunque ad accorgersene, non c'è neanche il modo di distrarsi e guardare il programma del Teatro Verdi. L'unica cosa che si può fare è mettere un piede avanti all'altro nel miglior modo possibile, e mentre si conclude il quarantunesimo chilometro, ascoltare il frastuono proveniente dall'arrivo che dista un centinaio di metri in linea d'aria., alla nostra destra.
Biblioteca Nazionale
Finalmente arriva la fine della via, pure in leggera salita. Mancano poche centinaia di metri. Mentre svoltiamo a destra in Viale Giovine Italia, forse tanta altra gente sta per entrare in centro, di fronte a noi, da Viale Duca degli Abruzzi. Forza ragazzi e ragazze. Si arriva in Piazza Piave, il tempo di ricordarsi che qui finivano le mura ed est della città (c'è ancora la Torre della Zecca Vecchia a testimoniarlo) che si completa l'inversione girando a destra in Lungarno della Zecca Vecchia. Alla nostra sinistra i container del deposito borse, dove la giornata era iniziata ore prima. Oltre questi, oltre l'Arno, lo sguardo si perde su, su verso Piazzale Michelangelo. Davanti a noi, comunque la si veda, una piccola grande impresa. Siamo al termine del quarantaduesimo chilometro, in Piazza dei Cavalleggeri, ed è un peccato non dedicare maggiore attenzione alla biblioteca più grande d'Italia e tra le maggiori europee, la Biblioteca Nazionale Centrale. Magari ci torneremo, ma ora infiliamoci brevemente in Corso dei Tintori, e da qui in Via Magliabechi.
Si entra in piazza. Questo il profilo della Basilica di Santa Croce che ci si staglia di fronte. E' il luogo dove sono sepolti l'Alfieri, il Foscolo, Michelangelo, e tanti altri, ma questo oggi poco importa. Torneremo a visitarla, come la piazza che è un gioiello e che oggi è trasfigurata. Perchè girando a sinistra appena entrati in Piazza Santa Croce, l'arrivo è finalmente davanti a noi.
Tagliamo il traguardo.
Per ciascuno di noi, questo significherà qualcosa, ognuno nel suo piccolo/grande. 
Chiudiamo con un video beneagurante.    
La lunga processione degli arrivi, edizione 2007. Questi sono i primi, coi successivi 25 circa si coprono tutti i partecipanti.
Buona corsa!






giovedì 25 novembre 2010

Vàdino, signori, vàdino... da Silas. ;)

Dopo il primo racconto di due settimane fa, oggi Silas Flannery sul suo blog Il padre dei racconti me ne ha pubblicato un altro.
Su, cliccare. ;))


Intanto, faccio una sanatoria dei pezzi da The Wall da pubblicare per questo motivo
Ne mancano solo due...











mercoledì 24 novembre 2010

Veggenza toscana


Sì lo so che uno, 'un è una novità, due, che la loàndina è der dùmila e quindi c'era ancora Papa Winnie.
Ma è la dimostrazzzione che certi titoli vanno bene per tutte l'occasioni.
E per chi ancora sostenesse che Woytila sia stato un pensatore illuminato, ecco cosa il sympatico sciatore di Cracovia scriveva nel 1998, in particolare al capo V. Pare scritta a 4 mani col Razzi. Ma si veda tutta la produzione dell'artista, in cui lancia i suoi anacoluti contro l'intero GLOBO TERRACQUO, SUBBACQUO e un geometra di Voghera.
 Che lo devo fare solo io? Mica si stianta, io a parte diventare GLABRO e quasi interamente FRANCOFONO per una mesata 'un ho avuto conseguenze.
Intanto, si accumulano le testimonianze di attività miracolistiche della gloria di Katowice: secondo uno di Marradi, nell'86 durante una benedizione all'urbi e all'òrbi (per l'appunto), un cieco dalla nascita sarebbe migliorato sensibilmente, divenendo cieco dall'età di otto anni.
Ma dimenticavo di dire perchè Ratzi avrebbe pisciato di fòri: complicanze prostatiche a parte, che non li leggete i giornali? ora c'è quest'ennesima sull'òmi sessuali, ma un giorno a caso va bene.
Del resto, da Livorno l'avevan sgamato bene.




lunedì 22 novembre 2010

Non tutte le domande richiedono risposta.

Una metà pomeriggio come tante altre.
Nel corridoio la luce rossa e il segnale acustico si accendono all'unisono.
L'infermiere entra nella stanza con fare tranquillo, disinvolto. Un solo letto è occupato. Spegne il campanello e osserva quella che viene chiamata "l'unità" del paziente. Quella che in ospedale per qualche tempo diventa il suo mondo. E visto da fuori lui ne diventa parte integrante.
La ragione della chiamata è presto individuata, il flacone di soluzione fisiologica pende vuoto sull'asta portaflebo. Sorridendo tra sé l'infermiere, senza guardare in faccia il paziente, si dirige sul lato sinistro del letto, chiude il morsetto e sostituisce la flebo per poi riaprirlo, inconsapevole dello sguardo del paziente che ne segue i movimenti e soprattutto gli occhi.
L'infermiere controlla la lista dei pazienti che ha in tasca, legge qual è l'intervento chirurgico subito dal paziente. Non è tra i pazienti che segue direttamente, ma è bene conoscere anche gli altri ricoverati. E' molto scrupoloso. E, a dirla tutta, inconsciamente non è che si fidi del tutto dei suoi colleghi. 
Così controlla i drenaggi inseriti nell'addome e gli altri tubi confluenti in sacchetti ordinatamente sistemati alle spondine del letto, il catetere per l'urina, il sondino per il contenuto  gastrico. Passa poi a esaminare la medicazione della ferita chirurgica, e per la prima volta si rivolge al paziente chiedendo:
- Ha dolore? - puntando lo sguardo su un punto indistinto tra il comodino e la porta.
Nel rispondere "un po'", il paziente pensa che una controllatina se la merita magari anche lui in persona.
- E' tutto a posto? - chiede - sa, tutti questi tubi... non si sa mai come muoversi, sempre in tensione con la paura di far danni. Ma per quanto tempo dovrò tenerli?
L'infermiere lo guarda negli occhi per la prima volta e sorride, ma senza trasporto. Gli piace cercare di chiarire i dubbi dei pazienti, cercare di calmare le loro ansie. Cercare i termini giusti, comprensibili a chi non è dell'ambiente. Senza sconfinare nel lavoro altrui.
Così fa anche in questa occasione. Se avesse voluto informazioni sul decorso standard per il tipo di intervento in questione, il paziente non avrebbe potuto chiedere di meglio.
Ma evidentemente il paziente chiede di più. Ne ha bisogno. Si sporge in avanti quanto può e alza le pupille dritte negli occhi all'infermiere, fermo in piedi al suo fianco:
- Avrei ancora una domanda.
L'infermiere cerca consapevolmente di manifestare il suo interesse, disponendosi all'ascolto attivo.
- Perchè proprio io? - Detto ciò, il paziente si adagia esausto di nuovo sul letto, mantenendo però lo sguardo nella stessa direzione. Il suo volto riversa all'esterno tutta l'angoscia accumulata nelle tre settimane da quella diagnosi infausta...
Quelle semplici parole bastano ad abbassare il velo dagli occhi e dalla testa dell'infermiere. Percepisce la freddezza dei suoi gesti di poco prima.
In pochi attimi ricorda e finalmente vede il dramma di quel giovane uomo di neanche quarant'anni, una moglie, una bambina di nove anni, una diagnosi terribile. Una forma tumorale tra le più aggressive, un'operazione con poche speranze di riuscita, la prospettiva di estenuanti trattamenti di chemioterapia.
Si vergogna del suo autocompiacimento.
Una vista riaffiora e viene alla fine compresa, la collega che non fa entrare la donna e la bambina, perchè "non è orario di visita". Che automi burocratici diventiamo...
L'infermiere avvicina una sedia. Gli occhi dell'uomo sono di fronte ai suoi.
- Non ho alcuna risposta a questa domanda.
Il paziente sorride. Pare riflettere un attimo, poi con fatica si gira leggermente sul fianco.
- Sai perchè te l'ho chiesto?
L'infermiere lo sa. Sa che in quel momento in quell'uomo qualcosa di esterno aveva esacerbato il suo dolore. Pensa che potrebbe rispondere un "no" e far parlare il paziente. Ma non vuol più nascondersi.
- Beh penso che in quel momento tu volessi anche vedere se ti buttavo lì la prima banalità che mi veniva in mente, tanto per cavarmi d'impaccio.
Si guardano negli occhi, in silenzio. Il paziente cerca di sorridere, ma un singhiozzo lo scuote. Annuisce, più volte.
- Ci sono domande a cui non puoi dare risposta. 
Le mani si stringono. Poi l'infermiere si alza, vede che  il paziente ha bisogno di riposare. Questi indica qualcosa. La flebo finita. L'infermiere la toglie sorridendo.
Alla fine del turno, l'infermiere sta di fronte allo specchio dello spogliatoio, le mani appoggiate sul lavandino, il busto inclinato in avanti.  Ha appena visto quella moglie con la bambina andarsene alla fine di un altro orario di visita, gli occhi gonfi. Si guarda fisso in faccia, a lungo.
Non tutte le domande richiedono risposta.
Altre, di fronte a se stessi, ne esigono una, senza veli né esitazioni.  





domenica 21 novembre 2010

Nuovo percorso Maratona di Firenze (SETTIMA PARTE)

Prima parte
Seconda parte
Terza parte
Quarta parte
Quinta parte
Sesta parte



Abbiamo passato il trentacinquesimo chilometro, e siamo nel cuore del centro storico. Questi due fatti ci dicono che siamo nel vivo più vivo della corsa, e sicuramente stanchini, ma anche circondati da due ali di gente, e questo ci dà sicuramente una spinta che può rendere capaci di sopportare meglio la fatica. Questo è quello che ricordo del passaggio dell'anno scorso da Piazza San Giovanni gremita (ma avevamo percorso otto chilometri in meno...).
Uscendo dalla piazza si entra in quello che era il nucleo del castrum dell'antica Florentia. Ecco allora che indòsso i nèi d'ordinanza, m'improvviso novello porta-a-portista e vi sottopongo un bel plastico del castrum dei tempi dell'imperatore Adriano. Lo psicologo arriva dopo.

Nel castrum si distinguevano i decumani, cioè le vie orientate in senso est-ovest (parallele all'Arno in questo caso) e i cardi, le vie perpendicolari a queste, orientate in senso nord-sud. In particolare la vie principali erano il decumanus maximus e il cardus maximus, che si intersecavano in un punto del foro. Questo punto corrisponde alla attuale Colonna dell'Abbondanza.

In azzurro nella pianta il perimetro attuale dell'antico castrum. Il decumanus maximus corrisponde alle attuali Via Strozzi, Via degli Speziali e Corso; il cardus maximus a Via Roma e Via Calimala; il foro è più o meno l'attuale Piazza della Repubblica. Il foro era il centro religioso, politico ed economico della città. Dal Medioevo, mantenne solo la funzione di centro degli scambi commerciali: l'area del foro e del cardus maximus venne a ospitare il Mercato Vecchio oltre che, dal 1571, il Ghetto destinato agli ebrei.
Dal 1885, nell'ambito del già visto risanamento l'area, coinvolgendo anche aree limitrofe, fu sventrata a al posto del mercato sorsero Piazza Vittorio Emanuele II (poi Piazza della Repubblica dal dopoguerra) e le vie circostanti, stravolgendo completamente il significato della zona.
Ma entriamoci finalmente, nel castrum. Dal cardus maximus - Via Roma - si svolta a destra e si percorre l'asse centrale di Piazza della Repubblica, passando accanto alla colonna dell'abbondanza, e uscendone passando sotto il grande arco di trionfo circondato da due ali di portici che formano il lato ovest della piazza.
Gli altri tre lati sono formati dai grandi edifici costruiti a fine '800. Nel complesso è la grande piazza di Firenze che mi piace meno, la trovo fredda. Naturalmente, anche qui occhio al fondo che non è dei migliori!

La piazza vista dall'angolo con Via Roma


E che a nessuno salti in mente di prendere un caffè da queste parti!
C'è tanti posti dove andare, perchè uno deve spende' dieceuri solo per sedersi da Paszkowski, da Gilli, alle Giubbe Rosse, o da Rivoire, nella vicina Piazza della Signoria...
e francamente chi se ne frega se da Paszkowski ci andava il Salvemini, o se Soffici e Prezzolini alle Giubbe Rosse ricoprivano di rutti i futuristi di Marinetti... o forse se ne facevano ricoprire.

Ma eccoci nel decumanus maximus, per la precisione in Via degli Strozzi. Da qui inizia un tratto favorevole in leggera pendenza negativa che arriva fino all'Arno, utile per tirare il fiato. La via ha al suo centro l'omonima piazza, già Piazza delle Cipolle ai tempi del Mercato Vecchio; anche questa zona ha radicalmente cambiato aspetto ai tempi del risanamento ma conserva uno dei più begli esempi del Rinascimento fiorentino, Palazzo Strozzi.
Oggi il Palazzo ospita istituti associazioni letterarie, fondazioni, istituzioni universitarie, mostre e risulta uno dei più dinamici centri culturali della città, se non d'Italia. Tra le altre cose, vi hanno sede la Fondazione Palazzo Strozzi, il Gabinetto Viesseux, il Centro di Studi sul Rinascimento, l'Istituto italiano di Scienze Umane.
Sul cantonale di uno degli angoli con Via dei Vecchietti si trova il Diavolino del Giambologna, protagonista di una delle tante leggende fiorentine.
Era l’anno 1245 quando in piazza del Mercato Vecchio  durante una predica di  Pietro Martire contro gli eretici, per spaventare e disperdere la folla degli uditori, apparve Satana sotto le sembianze di un cavallo nero imbizzarrito. Il domenicano, alzò la mano e fece un largo segno della croce di fronte al cavallo che si fermò all’istante proprio sulla cantonata del palazzo Vecchietti, per poi svanire nel nulla, lasciandosi però dietro un violento odore di zolfo.
Superstizioni d'epoca.

Palazzo Rucellai

In fondo a Via degli Strozzi si incrocia l'opulenta Via dei Tornabuoni coi suoi negozi di orribile inaccessibilità. Per fortuna si prosegue dritto in Via della Vigna Nuova, dove concludiamo il trentaseiesimo chilometro. La strada era il "regno" di un'altra delle grandi famiglie fiorentine, i Rucellai, come testimonia il bel palazzo rinascimentale disegnato da Leon Battista Alberti.
La strada prende il nome dalla vigna dei monaci di San Pancrazio, che oggi è una ex-chiesa situata praticamente sul retro di Palazzo Rucellai; detta nuova per distinguerla dalla "vecchia" dei monaci della Badia fiorentina (oggi in Via del Proonsolo... fra un 4 chilometri circa).

Si arriva così in Piazza Goldoni, di fronte a Ponte alla Carraia, e qui ritroviamo gli incroci, con maratoneti più veloci che percorrono i Lungarni verso Ponte Santa Trinita. Si svolta a destra in Borgo Ognissanti, parallelo al Lungarno. I "Borghi" erano le strade che partivano dalle porte della cerchia di mura (in questo caso da Porta al Prato).
Inizia qui un lungo rettilineo che conduce alla fine del trentasettesimo chilometro.
Nel mezzo del lungo Borgo troviamo Piazza Ognissanti, in cui spicca la Chiesa di Ognissanti, costruita nel 1251 come parte di un convento dell'ordine degli Umiliati; la facciata è in stile barocco fiorentino seicentesco. In questo punto alla nostra sinistra il complesso di Ercole e il leone del Romanelli, e il gruppo che corre in senso opposto su Lungarno Vespucci, un chilometro più avanti.


Borgo Ognissanti si continua con Via Il Prato o, più semplicemente, Il Prato, vasto slargo che conduce all'omonima porta. E, arrivati in Piazzale di Porta al Prato, si ripensa un attimo al fatto che di qui siamo passati trenta chilometri e più fa, e si fa dietrofront per gettarsi verso gli ultimi cinque chilometri.