Una metà pomeriggio come tante altre.
Nel corridoio la luce rossa e il segnale acustico si accendono all'unisono.
L'infermiere entra nella stanza con fare tranquillo, disinvolto. Un solo letto è occupato. Spegne il campanello e osserva quella che viene chiamata "l'unità" del paziente. Quella che in ospedale per qualche tempo diventa il suo mondo. E visto da fuori lui ne diventa parte integrante.
La ragione della chiamata è presto individuata, il flacone di soluzione fisiologica pende vuoto sull'asta portaflebo. Sorridendo tra sé l'infermiere, senza guardare in faccia il paziente, si dirige sul lato sinistro del letto, chiude il morsetto e sostituisce la flebo per poi riaprirlo, inconsapevole dello sguardo del paziente che ne segue i movimenti e soprattutto gli occhi.
L'infermiere controlla la lista dei pazienti che ha in tasca, legge qual è l'intervento chirurgico subito dal paziente. Non è tra i pazienti che segue direttamente, ma è bene conoscere anche gli altri ricoverati. E' molto scrupoloso. E, a dirla tutta, inconsciamente non è che si fidi del tutto dei suoi colleghi.
Così controlla i drenaggi inseriti nell'addome e gli altri tubi confluenti in sacchetti ordinatamente sistemati alle spondine del letto, il catetere per l'urina, il sondino per il contenuto gastrico. Passa poi a esaminare la medicazione della ferita chirurgica, e per la prima volta si rivolge al paziente chiedendo:
- Ha dolore? - puntando lo sguardo su un punto indistinto tra il comodino e la porta.
Nel rispondere "un po'", il paziente pensa che una controllatina se la merita magari anche lui in persona.
- E' tutto a posto? - chiede - sa, tutti questi tubi... non si sa mai come muoversi, sempre in tensione con la paura di far danni. Ma per quanto tempo dovrò tenerli?
L'infermiere lo guarda negli occhi per la prima volta e sorride, ma senza trasporto. Gli piace cercare di chiarire i dubbi dei pazienti, cercare di calmare le loro ansie. Cercare i termini giusti, comprensibili a chi non è dell'ambiente. Senza sconfinare nel lavoro altrui.
Così fa anche in questa occasione. Se avesse voluto informazioni sul decorso standard per il tipo di intervento in questione, il paziente non avrebbe potuto chiedere di meglio.
Ma evidentemente il paziente chiede di più. Ne ha bisogno. Si sporge in avanti quanto può e alza le pupille dritte negli occhi all'infermiere, fermo in piedi al suo fianco:
- Avrei ancora una domanda.
L'infermiere cerca consapevolmente di manifestare il suo interesse, disponendosi all'ascolto attivo.
- Perchè proprio io? - Detto ciò, il paziente si adagia esausto di nuovo sul letto, mantenendo però lo sguardo nella stessa direzione. Il suo volto riversa all'esterno tutta l'angoscia accumulata nelle tre settimane da quella diagnosi infausta...
Quelle semplici parole bastano ad abbassare il velo dagli occhi e dalla testa dell'infermiere. Percepisce la freddezza dei suoi gesti di poco prima.
In pochi attimi ricorda e finalmente vede il dramma di quel giovane uomo di neanche quarant'anni, una moglie, una bambina di nove anni, una diagnosi terribile. Una forma tumorale tra le più aggressive, un'operazione con poche speranze di riuscita, la prospettiva di estenuanti trattamenti di chemioterapia.
Si vergogna del suo autocompiacimento.
Una vista riaffiora e viene alla fine compresa, la collega che non fa entrare la donna e la bambina, perchè "non è orario di visita". Che automi burocratici diventiamo...
L'infermiere avvicina una sedia. Gli occhi dell'uomo sono di fronte ai suoi.
- Non ho alcuna risposta a questa domanda.
Il paziente sorride. Pare riflettere un attimo, poi con fatica si gira leggermente sul fianco.
- Sai perchè te l'ho chiesto?
L'infermiere lo sa. Sa che in quel momento in quell'uomo qualcosa di esterno aveva esacerbato il suo dolore. Pensa che potrebbe rispondere un "no" e far parlare il paziente. Ma non vuol più nascondersi.
- Beh penso che in quel momento tu volessi anche vedere se ti buttavo lì la prima banalità che mi veniva in mente, tanto per cavarmi d'impaccio.
Si guardano negli occhi, in silenzio. Il paziente cerca di sorridere, ma un singhiozzo lo scuote. Annuisce, più volte.
- Ci sono domande a cui non puoi dare risposta.
Le mani si stringono. Poi l'infermiere si alza, vede che il paziente ha bisogno di riposare. Questi indica qualcosa. La flebo finita. L'infermiere la toglie sorridendo.
Alla fine del turno, l'infermiere sta di fronte allo specchio dello spogliatoio, le mani appoggiate sul lavandino, il busto inclinato in avanti. Ha appena visto quella moglie con la bambina andarsene alla fine di un altro orario di visita, gli occhi gonfi. Si guarda fisso in faccia, a lungo.
Non tutte le domande richiedono risposta.
Altre, di fronte a se stessi, ne esigono una, senza veli né esitazioni.
caro web runner, ti ringrazio per questo post e per la musica che hai allegato; perchè ci vuole un po' di musica dopo quella lettura,... ho un familiare in attesa... ciao
RispondiEliminaciaooooooooooooooo carino il cane lì su se pssi da me indovina i personaggi storici è !!!!!
RispondiEliminaabbraccione e tranquillo ho messo solo un post !
una delle cose più vere che si possono leggere in giro....
RispondiEliminaPurtroppo c'è troppa gente che soffre.
RispondiElimina:(
Forse ci possono essere delle risposte sagge, certo è che le domande sono tutte umane.
RispondiEliminaè una storia bellissima, purtroppo gli ospedali hanno perso molto di quella umanità che è vitale per chi soffre.
RispondiEliminaMolto bello WR. Ciao,
RispondiEliminaAlcuni professionisti siluppano un'insolita 'abitudine' alla morte ed al dolore, ma non per questo trovano le risposte a quei perchè.
RispondiEliminaA me viene solo da ascoltare, senza pretese di sapere.
[ot.
anche tu perso sulla via della Val gina?
;-)) ]
Grazie veramente a tutti per i commenti.
RispondiEliminaIn bocca al lupo Francesco..
Ps Saamaya, da quelle parti ci si perde facilmente, ma ci si ritrova anche.
purtroppo ci sono casi di insensibilità: quando avevo mio figlio ricoverato per l'operazione al polmone, le infermiere mi hanno chiesto di andarmene IN ORARIO DI VISITA, perchè loro avevano da fare nella camera... peccato che poi sono state in corridoio a contarsela e a ridersela (ed io venivo dal mio lavoro senza aver avuto neanche il tempo di mangiare tutto il giorno): vista la mia protesta, anche tutti gli altri visitatori - che erano usciti dalla stanza - hanno preso coraggio per tornare dentro, e le infermiere hanno solo potuto stare zitte!
RispondiElimina(o.t.: ho visto che hai già aggiornato il link in "compagni di strada e di rete": grazie :-D)
Mi è tornato in mente Carver, più che le esperienze personali con l'ospedale, che ci sono state e ci saranno. Forse perchè mi piace filtrare la realtà con la fantasia.
RispondiEliminaE' l'ABITUDINE che distrugge i sentimenti.
RispondiEliminaCi si 'abitua' agli incidenti (stradali, sul lavoro, del crimine, della pazzia, della burocrazia) fino a considerarli parte inalienabile dell'esistenza.
Ci si 'abitua' a vedere la gente morire.
Ci si 'abitua' a vedere la disperazione di chi non riesce a trovare un lavoro.
Ci si 'abitua' a vedere i giovani senza futuro.
Ci si 'abitua' ad accettare politiche disfattiste.
'Abituati' a tutto, si sprofonda nel menefreghismo, in quel 'tanto il mondo gira lo stesso, con me o senza di me'.
Vero, vero, vero... E bravo corridore...
RispondiEliminaCi sono infermieri/medici sensibili che lasciano quel tipo di domande senza risposta...
RispondiEliminama ci sono anche quelli bastardi schifosi che le risposte le danno eccome e nel peggiore dei modi possibile :(
se le risposte hanno un senso e un fondamento, va bene anche sapere le cose più terribili...ma spesso, ci sono cose che risposte non ne hanno..allora...perchè fare la domanda??'
RispondiEliminaIo credo che se esiste la domanda debba esistere per forza anche la risposta. Va cercata e spesso manca la voglia di farlo. Di sicuro meglio il silenzio che la prima banalità che ci può venire in mente... Mi piace come rendi le cose te... Mi piace parecchio.
RispondiEliminaTriste verità. Bel post, malgrado tutto
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